Valorizzare diversità e inclusione in azienda: skill essenziali e strategie efficaci

Giulio Beronia7 minuti
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Valorizzare diversità e inclusione in azienda: skill essenziali e strategie efficaci

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Introduzione

La diversità e l'inclusione sono temi sempre più presenti nel mondo del lavoro, ma spesso ancora poco compresi e valorizzati dalle aziende. Il diversity management ha iniziato il suo percorso a fine anni ‘80, negli Stati Uniti, il “melting pot” culturale per eccellenza, per valorizzare i lavoratori appartenenti a culture, etnie, religioni e background diversi.

A partire da quel periodo storico le imprese hanno iniziato ad approcciarsi al problema di come motivare e coordinare una forza lavoro così diversa e di come valorizzare, attrarre e trattenere i migliori talenti che appartenevano a gruppi così eterogenei.

Tuttavia, investire in questi aspetti può portare notevoli vantaggi in termini di produttività, innovazione e soddisfazione dei dipendenti.

Ma quali sono le competenze e le strategie formative utili a sviluppare una cultura della diversity & inclusion?

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In questo articolo esploreremo cosa sono diversità, equità e inclusione, perché sono importanti e quali strategie e competenze sono necessarie per valorizzarle. 

Cosa sono diversità e inclusione e perché sono importanti

La diversità comprende tutte le dimensioni che differenziano gruppi e individui. Quando si parla di diversità sul posto di lavoro, si fa riferimento a caratteristiche come età, sesso, etnia, religione, disabilità, orientamento sessuale, istruzione e origini etniche o territoriali.

Ogni dipendente porta con sé prospettive, pensieri, convinzioni e idee diverse, che contribuiscono a fornire una varietà di punti di vista in un'organizzazione.

È fondamentale che i datori di lavoro riconoscano i vantaggi di queste differenze e sviluppino una cultura aziendale che rispetti e valorizzi ogni individuo, migliorando così l'employee experience dei dipendenti.

A questo proposito, Lee Gardenswartz e Anita Rowe hanno teorizzato quattro livelli di diversità nel modello “4 Layers of Diversity” (i quattro livelli della Diversità) che forniscono un metodo ampiamente utilizzato per identificare le dimensioni della diversità nelle organizzazioni.

Il modello si correla approssimativamente con le aree di discriminazione tutelate anche dalle leggi, e dove le dimensioni della diversità non devono essere lette come un elenco esaustivo; le forme che assumono possono variare a seconda del contesto e mutare nel tempo.

Infografica che rappresenta le diverse dimensioni di diversità in azienda

L'inclusione riguarda gli sforzi organizzativi per garantire che i dipendenti siano accolti e trattati senza discriminazioni. Una cultura organizzativa inclusiva fa sentire le persone rispettate e apprezzate per ciò che sono come individui o gruppi. I dipendenti che si sentono accolti, infatti, sono più impegnati nel proprio lavoro, sono motivati e mostrano un maggiore coinvolgimento.

Le politiche di inclusione si concentrano sul far sentire tutte le persone importanti per il successo dell'azienda. Quando le persone si sentono valorizzate e apprezzate, sono più produttive e si identificano con la missione e i valori fondamentali dell'organizzazione.

L'inclusione, allora, si riferisce al modo in cui i dipendenti vivono l'ambiente di lavoro e all'adozione da parte delle organizzazioni di una cultura accogliente. È importante sviluppare una cultura inclusiva anche per trattenere il “talento” e sfruttare il potenziale di una forza lavoro diversificata.

La mancanza di inclusione, d’altro canto, può portare a sentimenti di individualismo o a "micro aggressioni" culturali tra i dipendenti, limitando la loro apertura e comfort nel parlare di sé stessi e a sentire violato il rispetto della loro vita personale.

Diversità, Equità e Inclusione (DEI) sono concetti interconnessi e il loro vero impatto emerge solo quando sono combinati. L'equità riguarda un trattamento obiettivo per tutte le persone, tenendo conto delle circostanze uniche di ciascuna persona, per garantire che le opportunità e i risultati sul posto di lavoro non siano influenzati dall'identità.

Si riferisce a un trattamento equo per tutte le persone nel senso che le norme, le pratiche e le politiche in atto garantiscano che l'identità non sia predittiva delle opportunità o dei risultati sul posto di lavoro.

L'equità differisce dall'uguaglianza in un modo sottile ma importante: mentre l'uguaglianza presuppone che tutte le persone debbano essere trattate allo stesso modo, l'equità prende in considerazione le circostanze uniche di una persona, adattando il trattamento di conseguenza, in modo che il risultato finale sia, appunto, ben ponderato.

Un gruppo di persone rappresenta la diversità in una pmi

Alcune ricerche di McKinsey sulla diversity hanno dimostrato che le aziende con più diversità di genere, cultura ed etnia superano in termini di performance gli employer che non supportano la diversità. La ricerca ha rilevato che le aziende nel quartile superiore per quanto riguarda l'esperienza della diversità di genere superano le altre del 21%, mentre per la diversità etnica e culturale, la probabilità di essere “sovraperformanti” è del 33%.

Inoltre, la diversità sul posto di lavoro è fondamentale per l'innovazione e la creatività all'interno delle organizzazioni; avere dipendenti di diversa estrazione porta prospettive e idee diverse nel lavoro quotidiano.

Le ricerche hanno rilevato da tempo che le organizzazioni con una maggiore diversità sono più redditizie. Secondo i dati annuali del Diversity Brand Index i brand che investono sulla DEI hanno una differenza del 21% nella crescita dei ricavi e il Net Promoter Score (il tasso di passaparola) supera il 72%.

Inoltre, secondo Boston Consulting Group, il diversity management aumenta le entrate del 19%, Deloitte ha rilevato che il 74% dei Millennial ritiene che la propria organizzazione sia più innovativa quando ha una cultura dell'inclusione (World Economic Forum) e il 57% dei dipendenti pensa che la propria azienda dovrebbe fare di più per aumentare la diversità tra la sua forza lavoro (Glassdoor).

Un gruppo di persone che uniscono le mani, simbolo di inclusione in azienda

Riassumendo, le aziende che attenzionano e mettono realmente in pratica la cultura di inclusione, ottengono migliori vantaggi in termini di performance finanziaria, di innovazione e creatività, di talent attraction, di employee engagement ed employee retention e contestualmente di maggior empowerment delle persone e reputation del brand.

Come valorizzare diversity & inclusion in azienda

Ci sono molte strategie che le aziende possono adottare per valorizzare la Diversity, Equity and Inclusion (DEI). Ad esempio, possono creare una cultura aziendale che promuove l'inclusività, implementare politiche inclusive per il recruitment basate davvero sulle sole competenze, offrire formazione per sensibilizzare culturalmente i dipendenti sulla diversità e l'inclusione e coinvolgere la persone in processi decisionali per creare un senso di appartenenza e partecipazione.

Sulla scia dei grandi cambiamenti sociali e politici degli ultimi decenni, le grandi realtà organizzative stanno effettivamente adottando misure per aumentare la diversità, l'equità e l'inclusione. Tuttavia, i progressi nella maggior parte dei settori rimangono spesso “tiepidi”. I programmi progettati per aumentare la diversità e l'inclusione sul posto di lavoro a volte falliscono.

Quindi questo porta a una domanda spontanea: cosa funziona davvero? Secondo un articolo di Harvard Business Review del 2020, man mano che gli obiettivi comuni di diversità, equità e inclusione diventano sempre più diffusi, le aziende hanno l'arduo compito di capire cosa funziona davvero.

Vengono descritte, in questo caso, 5 strategie che offrono un punto di partenza basato sull’evidenza: in primo luogo, le organizzazioni dovrebbero fissare obiettivi, raccogliere dati e definire le persone responsabili del miglioramento della diversità all'interno dell'organizzazione; in secondo luogo, le organizzazioni dovrebbero abbandonare i sistemi tradizionali di segnalazione e richiamo per discriminazioni e molestie (che spesso portano a ritorsioni o inasprimenti verso la cultura inclusiva).

I piani di welfare ai dipendenti e alcuni sistemi trasformativi di risoluzione delle controversie possono non solo svolgere un ruolo fondamentale nel ridurre le criticità, ma anche fornire nuova energia per il cambiamento organizzativo. In terzo luogo, le organizzazioni dovrebbero verificare che le tecnologie utilizzate nelle assunzioni e negli avanzamenti di carriera non siano intrinsecamente distorte.

In quarto luogo, le aziende devono evitare il tokenismo (la pratica di fare solo uno sforzo superficiale o simbolico per essere inclusivi nei confronti dei membri di gruppi minoritari, in particolare reclutando persone da gruppi sottorappresentati al fine di dare l'apparenza di uguaglianza razziale o di genere all'interno di un contesto lavorativo o educativo).

Infine, le organizzazioni dovrebbero coinvolgere fin dall'inizio manager e altri leader nei programmi di diversità: questo aumenta il buy-in e l’attuazione agevole della cultura inclusiva.

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Le skills fondamentali per promuovere diversità e inclusività

Per promuovere la diversità e l'inclusione in azienda, sono necessarie alcune competenze fondamentali. Sicuramente la comunicazione è importantissima per creare un ambiente di lavoro in cui i dipendenti si sentono ascoltati e rispettati.

L'empatia può permettere di comprendere le differenze individuali e di adottare una prospettiva inclusiva. La leadership inclusiva è necessaria per guidare un team eterogeneo, valorizzando le differenze individuali. Inoltre, la capacità di collaborare in team diversificati è essenziale per valorizzare la diversità e l'inclusione.

Secondo uno studio di RedThread Research, che ha esaminato quali competenze sono più apprezzate nelle società più in alto nell'indice “DEIB” (diversità, uguaglianza, inclusione e appartenenza), indicate come abilità "soft" o "interpersonali", si è scoperto che non esiste un semplice insieme di competenze che fa automaticamente avere successo a un'azienda attenta a DEIB.

Ma nelle aziende che ottengono risultati migliori nell’indice, è più probabile che le persone apprezzino determinate competenze chiave a ciascun livello della gerarchia organizzativa: per i leader senior, le capacità di empatia non sono sufficienti, mentre per i manager, la capacità di influenzare è fondamentale ed è necessario avere dipendenti autentici e coraggiosi.

Prima di identificare allora un set di competenze tra cui l’ascolto attivo, l’openness, il perspective taking, il bridging o il pensiero sistemico, dobbiamo tenere in considerazione gli aspetti psico-sociali che caratterizzano la creazione di pregiudizi e quindi di discriminazioni nei contesti lavorativi.

La Social Identity Theory concettualizzata da Henri Tajfel e John C. Turner considera il gruppo come luogo di origine dell'identità sociale: nell'uomo è spontanea la tendenza a costituire gruppi, a sentirsene parte e a distinguere il proprio gruppo di appartenenza (ingroup) da quelli di non-appartenenza (outgroup), stimolando consequenzialmente dei meccanismi di bias cognitivo ed un comportamento di favoritismo per il proprio gruppo (e l'inverso per gli outgroup). 

Se davvero il nostro modo di vedere le altre persone ci predispone in maniera automatica verso gli stereotipi, le generalizzazioni, e ci espone così spesso ai pregiudizi, come facciamo a evitare gli errori? Se consideriamo l'inclusione solo come un’opzione, questi trabocchetti mentali possono colpire chiunque.

Scoprire dunque il nostro funzionamento mentale, i nostri limiti ma anche la potenzialità che abbiamo, serve a rendere tutte/i consapevoli del valore di ogni persona, e serve anche a immaginare un futuro in cui tutto e tutti/e possono vedersi protagonisti, perché rispettati come persone.

Ogni bias contiene in sé anche il proprio antidoto, come ad esempio nel bias di conferma. Per capire se lo stiamo applicando esiste un trucco: invece di trovare sempre a favore prove delle nostre idee e convinzioni, l'esercizio è quello di trovarne al contrario, ossia che le smentiscano, chiedendoci poi se non siamo vittime di quelle dinamiche mentali che ci portano a pensare che le informazioni che non abbiamo siano irrilevanti.

Non è un caso, infatti, che tra le skill più rilevanti e richieste del prossimo futuro e del presente segnalate dal World Economic Forum siano proprio quelle dedicate al pensiero analitico, creativo e all’attitudine alla curiosità e all’empatia.

Esempi di successo e best practice

Ci sono molte grandi realtà multinazionali che hanno ottenuto buoni risultati valorizzando la diversità e l'inclusione. Sarebbe impossibile citare tutti i progetti che possono essere adottate dalle organizzazioni per creare un ambiente di lavoro accogliente e produttivo. Monitorare le realtà che misurano e osservano annualmente le migliori pratiche aziendali come Diversity Lab o Valore D, può essere rilevante per chi vuole fare benchmark o approfondire alcune progettualità specifiche.

Un ottimo punto di riferimento per approfondire le best practice è anche DivercityMag, che fornisce una vasta gamma di informazioni e approfondimenti su questi argomenti. Tra le best practice spiccano l'implementazione di politiche di assunzione basate sulle competenze anziché su stereotipi di genere o etnia, l'offerta di programmi di mentorship e coaching per favorire la crescita professionale e culturale dei dipendenti, la promozione di un ambiente di lavoro inclusivo attraverso iniziative di formazione e sensibilizzazione, e la creazione di reti di supporto interne per dipendenti di gruppi sottorappresentati. 

Formazione e strumenti per sviluppare le skill di diversità e inclusione

Il filosofo e pedagogista Gert Biesta parla da tempo di learnification dell'educazione. Nella sua analisi mostra come a partire dagli anni ‘70 si sia progressivamente estinta la parola education per essere rimpiazzata da learning: siamo nella learning age.

Il solo concetto di learning può risultare restrittivo, in quanto si perde l'idea di relazionalità dell'educazione: il learning, infatti, è un processo sempre più individuale, attraverso cui il soggetto deve mantenersi appetibile, employable, connesso. Il learning parcellizza il processo di crescita di un individuo, come se questo fosse un'accumulazione di “pezzettini” e mai un vero e proprio percorso di sviluppo, o di vero cambiamento, dove la persona viene aiutata e orientata verso certi valori.

Spesso ci si interroga su come apprende l'adulto che deve imparare per tutta la vita: come? Quali sono i metodi migliori? Quali teorie ne rendono ragione?

Vista l’esplorazione che abbiamo condotto sulle dinamiche della DEI, l’approccio e gli strumenti formativi più in linea con la possibilità di potenziare le skill per l’inclusione nelle organizzazioni ci vengono forniti dal metodo dell’apprendimento situato (J.Lave, E.Wenger). “Situato” vuol dire che conta dove si impara l'apprendimento. collocato in un certo luogo (fisico o virtuale che sia).

Dell'apprendimento pensiamo tutti cose anche diverse, soprattutto oggi rispetto all'enfasi che si vive sull'apprendimento on demand, e il situated learning, in un certo senso può rappresentare un approccio che può sembrare antitetico: l'apprendimento avviene in un particolare contesto ed è condizionato da quelle sue caratteristiche.

L'apprendimento situato presenta delle sfide, come il problema del controllo dell’apprendimento, e il luogo stesso in cui svolgerlo, poiché deve “contenere” delle persone, rendendo l'apprendimento situato una partecipazione attiva in una comunità. Attraverso il digitale, l'idea di luogo nell'apprendimento situato non è più limitata alla coesistenza spaziale, ma si riferisce a una comunità nella quale chi apprende partecipa.

La competenza, o forse meglio l’attitudine, su cui è importante focalizzare lo sviluppo di apprendimento per migliorare i comportamenti culturali in ottica di diversity & inclusion è il rispetto, in particolare in un contesto di educazione adulta nell’organizzazione.

Un fraintendimento che può avvenire su questo termine è nel vedere il rispetto come remissività, silenzio, capacità di subire; dovremmo allora ripartire da una visione del rispetto più attiva, proattiva, intesa come accorgersi e vedere. Rispettare viene dal latino respectus, respicere, ovvero “guardare indietro”; possiamo quindi dire che rispettare è saper guardare e sapersi guardare intorno.

Significa accorgersi delle altre persone e non è solo guardare, ma riguardare o guardare indietro soffermandosi, tornando i propri passi, focalizzando meglio l'attenzione, rimediando a una svista frettolosa. Significa agire sapendo che non si è soli.

Come si può allora formare al rispetto, specialmente tra adulti e nei contesti lavorativi? A partire dagli spunti di Maria Cristina Bombelli ed Emanuele Serrelli, è necessario partire dall’azione del singolo individuo per innescare il seme dell’equità, ma proseguire dando l’esempio e accompagnando colleghe e colleghi attraverso un tutoraggio; ed infine facilitare e mediare l’incontro costruendo nuovi ponti di comunicazione e analizzando insieme pratiche nuove di lavoro e collaborazione.

Il punto di partenza di un progetto di formazione al rispetto in azienda è la conoscenza della propria realtà, intesa come “tribù” fatta di regole esplicite, implicite, di linguaggi e umorismi.

Inutile sottolineare ancora quanto l’imprinting culturale dell’organizzazione sia dato dal management e sarà quindi importante educare alla leadership del rispetto. Infine, rimarrà comunque rilevante prestare attenzione agli scollamenti esistenti tra l’identità e i valori dichiarati dai brand e i messaggi di comunicazione che vengono veicolati attraverso le campagne di marketing ed employer branding.

Conclusioni

In questa analisi abbiamo visto quanto l'inclusione riguardi gli sforzi organizzativi per garantire che i dipendenti siano accolti e trattati senza discriminazioni e quanto l’inclusione possa portare vantaggi in termini di produttività, innovazione e soddisfazione dei dipendenti.

Oltre alle competenze da sviluppare e potenziare nei dipendenti e nel management, è necessario attivare uno sguardo culturale che tenga conto degli aspetti psico-sociali che contribuiscono alla formazione di pregiudizi e discriminazioni nei contesti lavorativi.

Per agire con un mix di azioni è importante effettuare una fase esplorativa dove l’obiettivo sarà quello di distinguere le situazioni individuali da quelle collettive (stili di comunicazione, linguaggi, etc.) che sono condivisi nei gruppi di lavoro, dopodiché affidare a delle figure selezionate la responsabilità e le roadmap di innesco delle pratiche inclusive, connettendo gli aspetti operativi alle policy e alle diverse funzioni aziendali.

Sicuramente le azioni formative sono l’asset principale su cui puntare. È possibile pensare ad itinerari formativi che si sviluppano nel tempo e che richiamano i temi presenti nel training dedicato al comportamento organizzativo, come soft e power skill (comunicazione, gestione del feedback, ascolto attivo, gestione positiva dei conflitti, leadership inclusiva), interpretando l’ottica del rispetto e senza dimenticare il coinvolgimento manageriale. 

Parafrasando Verna Myers, “la diversità è essere a un party; l'inclusione è essere coinvolti a ballare, l’equità è l’opportunità di essere invitati”: imparare a rendere concreto questo atteggiamento è la missione formativa più importante per le aziende che vogliono essere moderne, attrattive e ad avere un reale impatto sociale.


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Fonti

Delivering through Diversity, McKinsey

Diversity and Inclusion efforts that really work, Harvard Business Review

Diversity Brand Index

La cultura del rispetto, oltre l'inclusione

Valore D best practices

Future of Job, WEF

L'apprendimento situato, dall'osservazione alla partecipazione attiva nei contesti sociali

How diverse leadership teams boost innovation. BCG

DivercityMag

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Giulio Beronia
Autore GilityGenerational Workforce Strategist 

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