Alla ricerca del “flow” perduto: la formazione aziendale come leva di talent attraction e retention

Giulio Beronia7 minuti
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Alla ricerca del “flow” perduto: la formazione aziendale come leva di talent attraction e retention

A partire dagli anni della pandemia le persone hanno iniziato a dare priorità al benessere psico-fisico e a volere più libertà su dove e quando lavorano.

Questa volontà di rapportarsi al lavoro in modo nuovo è tra le cause di quella che Linkedin ha denominato “great reshuffle”: un momento di grande cambiamento in cui le aziende ripensano modelli, culture e valori del lavoro; e al contempo i dipendenti mettono in discussione non solo i metodi di lavoro, ma anche le proprie motivazioni: le persone hanno iniziato a pensare di cambiare impiego sperando di trovare più motivazioni, più flessibilità, più empatia.

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I trend attuali e le sfide che le aziende devono affrontare per attirare e trattenere talenti

L'“abbandono silenzioso” (quiet quitting) di questo periodo storico non può che innescare riflessioni profonde sul tema del coinvolgimento al lavoro: oltre ai già noti problemi di attraction - attrazione, determinati anche da una carenza di competenze nuove e specifiche per nuovi ruoli e professioni sempre più digitali e sostenibili, si affiancano quelli di retention - mantenimento, in particolare in Italia: secondo la classifica relativa dello “State of the Global Workplace report – 2022” di Gallup, che misura l’engagement  - coinvolgimento attraverso l’analisi sulla soddisfazione di 12 bisogni fondamentali di chi lavora, solo il 4% degli italiani risulta coinvolto nel proprio lavoro, contro una media mondiale del 21%.

Infografica Gility: coinvolgimento lavorativo al 21% mondiale e 4% in Italia per il 2022
Grafico che mostra le percentuali di coinvolgimento dei lavoratori in Italia e nel mondo

Tra le cause del quiet quitting, oltre al voler rifuggire l’hustle culture, e cioè il mito secondo il quale le persone dovrebbero dedicare tutta la vita al lavoro, il burnout, e lo stress patologico da lavoro o al relativo fallimento dei manager nel conciliare gli obiettivi aziendali col benessere individuale e collettivo dei propri dipendenti, non dobbiamo dimenticare l’importanza delle promesse di crescita personale e professionale che le aziende propongono (e che in alcuni casi non mantengono).

Ma la formazione può essere la scommessa vincente su cui puntare per fare fronte alla perdita di talenti e alla difficoltà di reperirli?

È indubbio che nei prossimi anni la formazione delle persone che lavorano sarà prioritaria, anche per le necessità di upskilling e reskilling, rispettivamente l’acquisizione di nuove competenze in linea con quelle già possedute, e l’acquisizione di abilità differenti rispetto a quelle già possedute, che il mondo post-pandemico ha rappresentato in tutte le sue manifestazioni: il World Economic Forum ha stimato già da qualche tempo che avremo bisogno di riqualificare più di 1 miliardo di persone entro il 2030.

Oltre alle competenze digitali, le competenze interpersonali specializzate saranno molto richieste nel nuovo ambiente di lavoro sempre più ibrido.

Come la formazione aziendale può aiutare ad attrarre i talenti?

Secondo gli ultimi dati del WMAE 2022 di Universum Global, tra gli elementi chiave inclusi nelle EVP, Employee Value Proposition - cioè l’insieme dei valori e dei benefit che l’azienda offre alla sua forza lavoro attuale e potenziale - “l’opportunità di avere un impatto personale” e la “formazione e sviluppo professionale” sono in calo, a favore dei temi che riguardano la flessibilità a cui abbiamo accennato.

Ma non dobbiamo dimenticare che tra le strategie per rendere le aziende più attrattive, soprattutto per le nuove generazioni, c’è il focus sul reinventare la cultura organizzativa, come suggerito dai risultati dell’ultimo “Linkedin Global Talent Trends 2022” che indica tra le aree su cui investire per migliorare la cultura aziendale, le opportunità di sviluppo professionale (59%) e la formazione dei manager ai nuovi stili di lavoro ibrido (35%).

Non dimentichiamo, inoltre, che nel concetto di engagement di Gallup tra i 12 fattori sono annoverati anche elementi come “nell’ultimo anno, ho avuto l’opportunità di imparare e crescere”, “c’è qualcuno che incoraggia il mio sviluppo”, “ho ciò che mi serve per farlo bene”, “ogni giorno ho l’opportunità di fare ciò che so fare meglio”.

Accettare di apprendere o coinvolgere ad apprendere?

Per migliorare la cultura si parte allora dallo sviluppo professionale e dalle strategie di Learning & Development, che possono allargare l’obiettivo principale, solitamente focalizzato sull’aumento dell’impegno dei collaboratori e sull’incremento della produttività.

Secondo il Corporate Learning Benchmark 2022 di Mobietrain, solo un’azienda su quattro considera l’aumento del coinvolgimento dei dipendenti come scopo di un programma di formazione.

C’è inoltre un errore che spesso si commette quando si pensa alla motivazione alla formazione e al lavoro, come ha spiegato egregiamente Daniel Pink:

Se la motivazione del passato chiedeva una mera accettazione da parte dei lavoratori, per le professioni del XXI secolo la motivazione richiede coinvolgimento.

Quest’ultimo si innesca realmente quando si riesce a far vivere alle persone un’esperienza “autotelica”, dove lo scopo è gratificante e l’attività in sé è già una ricompensa; e in un meccanismo virtuoso, la padronanza di un compito appreso o di un’attività alimenta a sua volta sempre di più la motivazione.

Quali sono le caratteristiche di un programma di formazione attrattivo per trattenere talenti?

Negli ultimi tempi le aziende si stanno orientando verso l'adozione di un approccio blended alla formazione, che prevede in gran parte l’uso di piattaforme digitali.

Tra le tipologie di apprendimento digitale è aumentato l'interesse verso le soluzioni di mobile learning, e le aziende che utilizzano questi tool affermano di essere alla ricerca di altre piattaforme digitali da integrare a quelle già esistenti. 

Le principali sfide in ambito L&D in questo momento storico vedono, però, ancora diverse difficoltà nello sviluppo di contenuti adeguatamente personalizzati per il target in formazione, così come la consapevolezza diffusa che i contenuti trasmessi vengono facilmente dimenticati.

Tra i trend da tenere d’occhio ci sono sicuramente le soluzioni di microlearning con pillole di formazione in formato digitale e breve, layout intuitivi, design accessibile e contenuti personalizzati, ma soprattutto la possibilità di coinvolgere direttamente le persone che lavorano nella scelta e nell’insegnamento (perché no?) dei contenuti da veicolare all’interno dell’organizzazione: il mutual learning e tutte le attività di reverse experience si rivelano sempre di più un formato innovativo e in linea con le esigenze di gestione di una forza lavoro multigenerazionale.

Provare a considerare i contenuti formativi come flexible benefit, e cioè benefici che migliorano la qualità della vita delle persone che lavorano, è sicuramente una caratteristica rilevante, soprattutto se leggiamo l’organizzazione con la lente della intergenerazionalità: ai Millennials e ai GenZ interessano solitamente opportunità di carriera, una cultura aziendale inclusiva, un’organizzazione trasparente e aperta; ai Baby Boomer interessa la stabilità e una cultura che condivida i loro stessi valori sociali, ai Gen X la flessibilità oraria e di carriera: da questi presupposti di “flexible learning” possono essere definiti contenuti trasversali e specifici che attingano alle leve motivazionali di coinvolgimento e di apprendimento per tutta la popolazione aziendale.

Benefici per l'azienda nell’attirare e trattenere dipendenti (tra costi e rischi correlati)

Secondo gli studi di Christian Harpelund, il 25% delle nuove leve lascia l'azienda entro i primi 12 mesi, il 48% di newbies al primo impiego si dimette entro i primi 18 mesi; il tempo medio di onboarding per generare la performance attesa è di 6,2 mesi per le nuove assunzioni; il costo della perdita di un nuovo dipendente entro i primi 12 mesi equivale a 2 anni del suo stipendio.

Infografica Gility: 25% dei dipendenti lasciano l'azienda in 12 mesi, 48% cambiano lavoro in 18 mesi.
Grafico che mostra le percentuali di lavoratori che cambiano azienda

Secondo Universum la media di tempo di permanenza in azienda per le nuovissime generazioni (Zed Gen) è inferiore ai 2 anni, per i Millennials è sotto i 3 anni, i Gen X superano i 5 anni a fronte di una media di 8 anni dei Baby Boomers. 

È facile allora quantificare l’impatto economico che ha una retention debole, oltre al gap di competenze nuove in ingresso in questo mercato del lavoro così estremamente fragile e mutevole.

Come abbiamo visto tra i trend ricorrenti, le persone in definitiva vogliono lavorare in un ambiente stimolante, reso piacevole dalle relazioni positive tra colleghi e manager, dove la formazione è vista come opportunità di sviluppo e crescita sia professionale sia personale: probabilmente investire sulla formazione è una delle scommesse più sensate per trattenere e attirare le persone giuste.

Decostruire e ricostruire il “flow” formativo

In questo momento storico per cambiare paradigmi formativi e potenziare attraction e retention, allora, non possiamo far altro che considerare estremamente connessi tutti questi aspetti e imparare a inserire tra gli ingredienti delle ricette di Learning &

Development sempre di più l’autonomia, la padronanza e lo scopo in ogni esperienza formativa aziendale. Con l’augurio che ognuno trovi il suo “flow”.

Per superare le ansie e le depressioni della vita contemporanea, gli individui devono diventare indipendenti dall'ambiente sociale nella misura in cui non rispondono più esclusivamente in termini di ricompense e punizioni. Per raggiungere tale autonomia, una persona deve imparare a fornire ricompense a sé stessa. Deve sviluppare la capacità di trovare divertimento e scopo indipendentemente dalle circostanze esterne.

Mihaly Csikszentmihalyi, “Flow, Psicologia dell'esperienza ottimale”, 1990

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Giulio Beronia
Autore GilityGenerational Workforce Strategist 

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